Gatti eccentrici
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#Marginalia diciotto
I nonni degli hipster erano bella gente.
Lo so, lo so… sembra un affronto a tutto l’universo musicale ed esistenziale che adoriamo ma, ve lo giuro, sono seria!
Dovete solo fidarvi un attimo e il #marginalia di oggi vi stupirà, promesso.
Al pelvico Presley l’appellativo The hillbilly cat non piaceva proprio.
Eppure, il conosciutissimo Elvis, ha esordito proprio con questo nomignolo poco sofisticato da “gatto zoticone”, rimastogli incollato addosso fino ad oggi.
“E quindi?” penserete… un attimo, andiamo con ordine!
Vi siete mai chiesti perché vi sia un riferimento costante ai cats in moltissimi brani rock ‘n’ roll?
Nel 1939 il poliedrico Cab Calloway (di cui vi avevo già parlato qui) pubblica Hepster’s Dictionary: language of jive, un illuminante ed innovativo “vocabolario” che ha la pretesa di tradurre in inglese standard i termini tipici del jive, lo slang afro-americano in voga tra i musicisti di Harlem dalla fine degli anni ’30.
Il Dizionario spacca forte e contiene delle chicche PAZZESCHE!
Alla voce “cat” si legge: “musician in swing band”, vestito in maniera eccentrica e stilosa, aggiungo io. Poco più giù, infatti, ecco un’altra dicitura chiarificatrice: “Got your boots on – you know what it is all about, you are a hep cat, you are wise.”
Svelato, dunque, “l’arcano” su Elvis, che si è guadagnato – tra le altre corone posate sul suo brillantinato capo – anche il titolo tipico dei più fighi tra i musicisti delle generazioni precedenti: essere un Hep cat!
Essere riconosciuto come un hep cat doveva essere davvero una sensazione di onnipotenza mista a vanto, se lo scaltro Calloway lo dipinge come “a guy who knows all the answers, understands jive” : un tipo che conosce tutte le risposte e capisce il jive… e anche la vita, le donne, la musica!
“Hep” – l’avrete intuito – era l’abbreviazione di hepster, un modo comune per dire eccentrico. Quella “e” non ci mise molto a diventare una “i” nella pronuncia, dando vita alla generazione hipster originale, quella del bop, per intenderci (di cui chiacchieravamo qualche articolo fa, sempre qui).
Ve l’avevo detto, in apertura, che i nonni di quelli coi risvoltini erano bella gente, no?
Hep cat, un gattone nero sbarazzino e sicuro di sé, che non ha paura di sfidare il mastino Willoughby the Dog e di corteggiare la più carina del quartiere, è il protagonista dell’omonimo cartone animato della saga dei Looney Tune.
Il lampante riferimento a Calloway e compari è più che evidente, tanto che il micio stesso, nella prima puntata, intona un esplicito Java Jive.
Il giornalista e saggista americano Henry Louis Mencken (1880-1956) ha definito il jive “un amalgama del gergo negro di Harlem e delle discussioni dei tossicodipendenti e dei piccoli criminali, con aggiunte occasionali dalle colonne di gossip di Broadway e dal campus delle scuole superiori”. Mi pare chiaro che non abbia vissuto abbastanza per rendersi conto – davvero – di cosa potesse designare, per il presente e per il futuro, essere un hep cat.
Ma i bianchi fanno così di solito: arruffano il pelo quando non sono le prime donne!
Fortuna che il poeta inglese Lemn Sissay (1967), invece, ha colto gli effetti reali e stupefacenti di quest’ondata rivoluzionaria, dichiarando che Cab Calloway stava assumendo la proprietà della lingua di un popolo a cui, solo poche generazioni prima, la propria lingua era stata tolta.
Non solo abiti ricercati, non solo brani incredibili, non solo donne bellissime: essere un hep cat, dunque, significa appartenenza.
Randagi, stilosi, col ritmo nel sangue e la rivalsa nelle viscere: definirsi “gatti eccentrici” è motivo d’orgoglio, caro Elvis caro.
Fino alla fine, let’s go cats!
Baci velenosi e fusa,
Vanì Venom