Extra-ordinary (bad)Women, pt. 2
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#Marginalia ventuno
Il lato oscuro della forza ha un bel lato B.
Il “cattivo” non sempre è un pagliaccio isterico con la faccia dipinta e un sorriso inquietante, un magnate senza scrupoli o un goblin dall’aspetto vomitevole. Il male, talvolta, anche per chi ha fatto del bene un diktat esistenziale, sa essere seducente.
Ebbene sì, perfino i super uomini hanno delle debolezze.
Come biasimarli, del resto, se cedono al fascino delle bad girls?
Essere un supereroe è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo… dicevamo la scorsa settimana (per chi si fosse perso l’articolo, basta un click). E quando questi fusti dal cuore tenero non sono intenti a salvare il mondo, soltanto alcuni di essi sono bravi a salvare se stessi dalle grinfie di un amore “sbagliato”.
Superman e Spiderman, ad esempio, rispettivamente innamorati della riservata Lois Lane e della focosa Mary Jane Watson, si accontentano di gestire le normali paturnie sentimentali, tipiche di chi affronta una doppia vita volendo tutelare la propria compagna tenendola nascosta.
Ma Batman no, non era pago di intrattenersi con una donna “standard” (con tutte le complicanze del caso che questo già comporta), ha voluto strafare: l’animalesca – quanto lui – Catwoman riveste il prototipo perfetto della nemica-amante, in un circolo vizioso e virtuoso di passione e lotta.
Capostipite delle nemesi amorose, Catwoman, incarna a pieno l’ambivalenza tra l’attrazione e la repulsione, in un gioco di seduzione quasi fatale per il pipistrello e la gatta.
Perché, appunto, le antieroine dei supereroi possono essere considerate una nemesi o una sorta di alter ego per gli astuti giustizieri? Esse impersonano, in corpi bellissimi, l’esatto opposto sul piano dell’azione, ma il corrispettivo perfetto in materia di sensibilità. “Cattive” quasi non per scelta, le loro vite hanno preso fin da piccole una piega dolorosa, per sopportare la quale hanno indurito la corazza esterna, ma non hanno mai perso fiducia – fino in fondo – nell’amore.
Selina Kyle fa il suo ingresso nel mondo dei fumetti quasi in contemporanea alla nascita di Batman, apparendo inizialmente col solo nome “The cat”. Orfana di una madre malata e di un padre alcolista, descritta in certi frangenti come un’ex prostituta che ha perso la memoria, la sua personalità appare fin da subito talmente carismatica, da non dover temere di condividere il palcoscenico con diverse figure maschili. Infatti, ben presto, la sua arma caratteristica diventa la frusta, magistralmente abbinata ad un’adorabile tutina in latex nero ultra aderente. Si compie, così, la sublimazione delle fantasie sadomaso maschili… tanto che il pipistrello non può più sfuggire ad uno dei suoi predatori più feroci: il gatto, anzi, la Gatta.
Le numerose scene in cui si espone il rivaleggiare del corpo a corpo, diventano una leggibile metafora della “lotta” sessuale, una simulazione dell’atto carnale.
Sebbene le rappresentazioni fumettistiche e cinematografiche più recenti abbiano declinato Catwoman verso una (indegna) immagine addomesticabile, che vorrebbe quasi vedere la ladra pentita e rabbonita, a me piace ricordarla nella sua indole tradizionale: quella indomabile.
Senza padrone e senza ritegno è anche Sand Saref, forse meno famosa della micetta, ma dotata della stessa attraente pericolosità. Il detective mascherato Spirit, il supereroe nato dal genio di Will Eisner nel 1940, non ha super poteri ma ha una super passione per le donne, seducendo – tra un’impresa salvifica e l’altra – dottoresse, poliziotte, danzatrici e chi più ne ha più ne metta. Il suo amore, però, lo riserva solo alla compagna d’infanzia Sand. Le vicende della vita, negli anni della crescita, li hanno separati, per poi farli incontrare (e scontrare) di nuovo.
Nel frattempo, tutto è cambiato per la giovane donna: la morte del padre-poliziotto ad opera di due malfattori (di cui uno era lo zio di Spirit stesso!) le ha fatto sviluppare un odio micidiale per le forze dell’ordine, ritenute la causa principale della sua perdita. Così inizia a barcamenarsi, con grande spregiudicatezza, tra diversi ruoli nel mondo del crimine: avventuriera, ladra e spia, non ha paura di puntare in faccia al suo capo una pistola per esigere il rispetto che s’è guadagnata. Cessa d’essere indomita – pur non volendo – tra le braccia di un solo uomo: l’investigatore misterioso Spirit.
Si potrebbe dire che queste antieroine siano tutte affette dalla sindrome di Lazzaro: morte di dolore nell’infanzia, si leccano le ferite con indole guerriera e cinismo, per rinascere a nuova vita di cattiveria. O di rivalsa.
Ultima, ma solo perché più “giovane”, viene Elektra (1979), ex-compagna di Matt Murdock (Daredevil) all’università ed esperta di arti marziali, assoldata dal supercattivo Kigpin come sicaria dell’eroe. Elektra tenta di uccidere Daredevil più volte, ma quando scopre la sua vera identità, rinuncia all’incarico, appendendo la spada giapponese a 3 lame al chiodo. La cosa più sconvolgente e squisitamente femminile che la caratterizza è che il suo ideatore, Frank Miller, decide di rendere inaccessibili i suoi pensieri, non solo all’amante-nemico ma anche ai lettori, non trascrivendoli nei balloon. La più ambigua ed enigmatica tra le bad girls di oggi!
Dannate e selvagge.
Chissà se preferivano stirare e pulire, anziché affilare le unghie e le katane o lucidare la canna di una revolver. Queste (anti)eroine dimostrano che si può rinascere dalle proprie ceneri, tenendo bene a mente un imperativo di sopravvivenza che non permettono a nessuno di calpestare: è meglio avere una voce, che essere sempre gentili col mondo, per nulla gentile di suo peraltro.
E neanche l’amore è gentile con loro – e forse neanche con noi – costringendole a sottostare a quell’inutile e atavico stornello del vince chi fugge.
Le bad girls vincono perché non mollano, nonostante tutto.
Baci badly velenosi,
Vanì Venom