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Non è vero che il treno passa una volta sola

Tempo di lettura: 4 min.

#Marginalia sette

Treni persi, treni presi. Treni attesi, treni arresi. Quelli che vanno, quelli che restano. Partenze, ritorni. Ritardi e incontri. Una vita intera, vissuta in qualcosa che assomiglia ad una stanza, ma viaggia su rotaie, parallele e incommensurabili alla vista. Una vita che inizia con un fischio e si conclude con una stazione d’arrivo. Una vita che può cambiare – ve l’assicuro – per colpa o per merito d’un treno.

Quanta poesia si cela dietro acciaio, sedili assegnati, bagagli e destinazioni? Le tecnologie dei trasporti evolvono, il carbone cede il passo all’elettricità, le stazioni si mostrano sempre più futuristiche, ma il treno conserva un fascino senza tempo. Quanto mistero si nasconde nei meandri di uno sguardo sconosciuto, seduto ad una vicinanza così promiscua da essere quasi confidenza eppure non invadenza? Il treno è convivenza forzata di micro-mondi che si spostano, tutti insieme, verso un dove che è – quasi sempre – sinonimo di novità.

I Blue Fames accompagnano Junior Parker in questo blues del ’53, inciso per supportare la neonata – oggi celeberrima – SUN Records. Due anni più tardi la stessa etichetta produrrà il pezzo nella versione di Elvis, che conoscerà un enorme successo

Little Junior – riprendendo una ballata folk celtica, poi divenuta un gran bel pezzo degli anni ’30 firmato dalla Carter Family – celebra due componenti imprescindibili di un (qualsiasi) viaggio in treno che si rispetti: il mistero e l’attesa.

Di un pacco proveniente da lontano, di una persona cara di ritorno, di una meta sconosciuta, di un’emozione nuova… l’attesa è lo stato d’animo che maggiormente – e da sempre – si associa ad un viaggio. E il viaggio in treno, più di altri, era una vera e propria esperienza in sé, nei decenni andati. Fin dagli anni ’20 (e forse anche prima) le stazioni nascono come luoghi nostalgici e speranzosi per eccellenza: dove un’amata attende il suo uomo di ritorno da luoghi di lavoro remoti, dove una madre aspetta i figli allontanatisi a cercar fortuna, dove le foto immortalano solitudini e ricongiungimenti.

Questo meraviglioso scatto degli anni ’50, nella mente del nostro adorato Houserockin Chris, ha subito generato un collegamento con la stupefacente Night train di Jimmy Forrest (1952). Vi lascio il link per ascoltarla, a noi è sembrata un’accoppiata perfetta!
https://www.youtube.com/watch?v=jaFWKYqGrP0

Immaginate, per un attimo, quanto sia stata sconvolgente, a partire dai ruggenti anni Venti, la diffusione capillare di questo nuovo modo di spostarsi: il tempo, più del solito, si faceva relativo. Ciò che oggi ci appare lento e obsoleto, era negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, un rapidissimo accorciamento delle distanze, ormai non più insormontabili.

E poi la cura dei particolari… le cabine erano gioielli d’arredamento: dalle poltroncine ai tavolini, dalle lampade alla pavimentazione, dai tendaggi ai carrellini di vivande, un vero compendio di design (su binario)! Un posto d’onore spetta anche alla moda: bigliettai, controllori, madame impellicciate e col vestito migliore, bimbi con gli abiti della domenica, mariti in gessato con le scarpe lucidate di fresco. Tutto seguiva scrupolosamente le tendenze in voga al periodo, regalando uno spaccato sociale tra i più veri ed interessanti, perché “prendere la locomotiva” era un vero e proprio evento!

Visto che questo sabato #marginalia è in vena di associazioni e consigli di ascolto legati a scatti stupendi, rispondo al mio collega Chris suggerendovi di mettere in sottofondo una delle Vanì’s favourites in assoluto: https://www.youtube.com/watch?v=nkD0hDi9ZIo
Era il 1939 e quella bomba di Sister Rosetta Tharpe portava alla ribalta un gospel tradizionale tramutandolo in un pezzo sui treni tra i più belli del mondo!

Infine – c’è da dirlo – è bello viaggiare, ma casa è sempre casa.

Per le strade d’Europa, nei borghi d’Italia, nelle metropoli affollate o nei paesini in cui le nonnine fanno ancora la calza sull’uscio, c’è un brano che corrisponde – sempre – alla colonna sonora perfetta per coloro che, dopo un tortuoso peregrinare per le strade dell’esistenza, comprendono che è giunto il momento di tornare alla base. L’autore è Mister Bo Diddley, l’anno è il 1956, il pezzo fa così:

https://www.youtube.com/watch?v=bQqM3kFT28A
Si parte con un dialogo tra Diddley ed una voce che sembra provenire dall’aldilà, mentre un flauto traverso imita il suono di una locomotiva… geniale! Talmente geniale che i Cream, anni dopo, memori di quel flauto, lo convertono in armonica e generano la fighissima intro di Traintime

«Per gli amanti del blues Bo Diddley era troppo rock & roll
e per gli amanti del rock & roll Bo Diddley era troppo blues.»Ezio Guaitamacchi, 100 dischi per capire il rock

Quante strade, quante stazioni, quanti cambi, quante coincidenze, quanti brani, quante attese (talvolta vane)… nel crocevia delle possibilità, al centro del quale ci siamo sempre e solo noi, con la nostra valigia piena di ieri e i nostri occhi pieni di domani, vi svelo una sacrosanta verità: non è vero che il treno passa una volta sola.

Ci saranno nuove strade, nuove stazioni, nuovi cambi, nuove coincidenze, nuovi brani, nuove attese (non sempre vane)… nel crocevia delle possibilità, al centro del quale ci siamo sempre e solo noi, i treni si possono scegliere. Ce ne sono di bellissimi, che non abbiamo ancora preso.

Baci (ciufciuf) velenosi
Vanì Venom

Vanì Venom

Vanì Venom è l’alter-ego, a metà tra il letterario e il rocker, di Vanina Pizii, una giovane professoressa di Lettere appassionata di musica anni ’40 ’50 e ’60 e di tutto ciò che concerne il lifestyle legato al mondo vintage: dischi, foto, abiti, libri, arredi, auto e chi più ne ha più ne metta!