Monster mash
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#marginalia quindici
La storia delle parole è anche – e soprattutto – la storia delle idee.
Lo sapevate che in latino la parola monstrum originariamente significava “prodigio, portento, miracolo”?
Ma, ad un certo punto, il politeismo romano ha dovuto cedere (per forza di cose) il posto al cristianesimo e i “miracoli”, da quel momento in poi, vogliono dire tutt’altra cosa. Solo in un secondo tempo, quindi, il termine ha acquisito l’accezione deliziosamente nefasta che oggi amiamo!
L’animo umano, curioso per indole, prova un sentimento ambivalente di attrazione-repulsione per la diversità. E se alla “deviazione” dalla norma si associa anche una squisita propensione per l’occulto, il monstrum torna ad acquisire quella venatura originaria di evento straordinario.
Letterati, registi e musicisti – poco avvezzi a farsi plagiare dalle ideologie religiose e per natura cultori della ribellione – hanno fatto dei mostri i protagonisti di pagine, pellicole e pezzi meravigliosi.
Le creature della tradizione gotica abitano l’immaginario collettivo fin dai tempi più remoti, intrecciando paure ataviche e profana ammirazione, in una spirale di timore e amore.
Il countdown per halloween, una delle feste più apprezzate dai vintage lover, è ufficialmente iniziato già dalla settimana scorsa su #marginalia… questo sabato il nostro cocktail retrò di suggestioni e tracce da paura offre una ricetta originale e gustosa, a base di monster mash!
La morte è l’antitesi della vita per antonomasia… non per tutti, però.
La “creatura” frutto della mente multiforme di Mary Shelley è l’eccezione che smentisce la regola: la malsana iniziativa del giovane e brillante Dottor Frankenstein inizia con un taglia-cuci di cadaveri e si concretizza nella vera e propria realizzazione di un corpo morto ma, al tempo stesso, più vivo che mai.
La vicenda del mostro, trasmigrata dalla pagina scritta al grande schermo (in molteplici versioni), ha davvero dell’incredibile: è la mancanza d’amore da parte del suo creatore a rendere la creatura aggressiva e temibile, tanto da spingerla a macchiarsi di delitti che mai avrebbe osato neppure pensare, se suo “padre” avesse amato il “figlio” come avrebbe meritato.
Chi è, dunque, il vero mostro? Colui che non sceglie di nascere e subisce un abbandono immotivato oppure il vanaglorioso dottore che per dimostrare la sua bravura si macchia del vergognoso crimine del disamore?
L’enorme fortuna del deforme “esperimento”, colpevole solo di avere un aspetto mortifero inaccettabile per la società benpensante, ha fatto sì che addirittura il pubblico – letterario quanto cinematografico – utilizzasse il nome del suo folle creatore per identificarlo… destino beffardo e contrastante, quello di avere addosso per l’eternità il marchio di chi gli aveva donato un’esistenza non richiesta e segnata dalla solitudine.
Dalle lettere ai fotogrammi si perpetra anche l’imperitura presenza di un altro mostro classico dell’immaginario comune: la gloria del non-morto, d’altronde, non può morire!
Dracula, il conte succhiasangue gentiluomo, si imprime nella storia dei secoli come secolare è la sua permanenza nelle varie espressioni artistiche che lo vedono protagonista. Dal romanzo di Bram Stoker (1897) agli svariati lungometraggi di ogni epoca, il principe dei vampiri troneggia nel cuore dei suoi ammiratori, colpendoli con la stessa potenza di quel paletto di frassino che solo se piantato nel cuore stesso potrebbe ucciderlo.
Una delle prime apparizioni al cinema risale al 1922, quando il regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau proietta il suo Nosferatu dagli incisivi a sciabola. Tuttavia – forse è superfluo precisarlo – sono i canini di Bela Lugosi ad aver segnato per sempre l’iconografia vampiresca nel 1931.
A metà tra l’uomo e la bestia, i mostri della tradizione classica, confermano l’ambiguità dell’esistenza, in continua tensione tra la sfera animale e quella dei pollici opponibili.
Uno di loro, in particolare, incarna alla perfezione questa natura ambivalente. Alla luce del sole, nelle sue viscere, la bestia e l’uomo appaiono talmente inestricabili da convivere quasi indisturbate. È il chiaro di luna piena a svegliare la vera indole che scorre nelle sue membra, appena sotto lo strato sottile della pelle… pardon, del pelo!
Indomabile e senza padrone, il licantropo reprime il suo istinto nel quotidiano, ma la ferinità dell’animo attende paziente di venir fuori al termine di ogni ciclo lunare.
L’ormai famoso Bela Lugosi, appesa la famigerata dentiera al chiodo, è stato interprete anche di un fantastico Wolfman firmato George Waggner nel 1941.
Evidentemente il tenebroso attore ungherese, emblema del cinema horror d’altri tempi, incarnava i ruoli mostruosi con una naturalezza che lascia trapelare una condivisibile verità: in ciascuno di noi coesistono l’uomo, la bestia, il mostro, l’oscurità.
Esiste e resiste, sotto la sfera tangibile e quotidiana delle cose, fatta di obblighi ed impegni, un altro mondo.
Un mondo fatto d’istinto e bestialità incommensurabili, che tacciono quel tanto che basta da permetterci di vivere come se l’indole da esseri incontrollabili e dallo spirito inquieto non ci fosse.
La mostruosità, quella vera, non è un’accozzaglia di cicatrici, né un bel paio di canini appuntiti e neanche un manto folto che risplende sotto i raggi lunari… la mostruosità reale consiste nel non accettare la propria e l’altrui mostruosità, con le sue splendide ed infinite varianti.
Baci velenosi e mostruosi,
Vanì Venom
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